È ormai un argomento mainstream: che la ripresa economica sarà legata all’applicazione dell’Economia Circolare è indubbio, lo diciamo da tempo nei nostri webinar e incontri online, e sempre più anche la stampa sta prendendo atto del nuovo orientamento delle politiche economiche europee.
Sappiamo che le principali problematiche ambientali sono legate alla limitatezza delle risorse naturali e alla loro distribuzione iniqua, mentre la popolazione mondiale è in crescita esponenziale: è così che una questione ambientale guidata dagli attuali modelli lineari, si trasforma in una questione economica, che si trasforma in una questione sociale che finalmente diventa un problema politico.
Ma, pur nella bontà dei nostri sforzi verso la creazione di nuovi modelli di produzione e consumo circolari, qualcosa ancora ci manca per completare la vera rivoluzione verso la circolarità.
Eco-efficienza ed eco-efficacia
Oggi il rischio principale per l’Economia Circolare è legato alla dicotomia tra eco-efficienza ed eco-efficacia, due concetti che, come ben evidenziato da McDonough & Braungart, sono due facce della stessa medaglia e devono essere correttamente bilanciati per innescare veri processi circolari. Cercare infatti di chiudere a tutti i costi i circuiti di un processo circolare, senza prestare attenzione al risultato finale e alle conseguenze indirette prodotte, come le esternalità che sono parte integrante del processo di cambiamento, può risultare potenzialmente insostenibile per l’ambiente o per il contesto socio-economico locale. Ciò porta sì, a qualificare un progetto come “circolare” (eco-efficiente), ma a tutti gli effetti rimane lontano dai paradigmi – pilastri – della sostenibilità (eco-efficacia). Si parla quindi di Punti Ciechi o Blind Spot, come fasi concettuali di un progetto che non vengono considerati, ma che di fatto attenuano o in alcuni casi annullano l’effetto circolare del processo stesso.
Per esempio, puntare solo sull’efficienza energetica e dei materiali nei processi produttivi potrebbe portare a risultati indesiderati: è il caso di qualche edificio ad alta efficienza energetica senza finestre, in cui la qualità dell’aria interna regolata da un sistema di condizionamento ad alte prestazioni, si è dimostrata molto bassa.
Un altro esempio può essere la produzione di giacche di pile da bottiglie di PET riciclato, azione certamente degna di merito, ma cieca nel fatto che i pile nella lavatrice, se non inseriti in una busta ad hoc che trattiene le microfibre rilasciate dal lavaggio, inquinano di più del lasciare la bottiglia alle intemperie.
Punti ciechi o blind spot
I Punti Ciechi o Blind Spot si verificano ogni volta che l’economia circolare non è sostenibile, ogni volta cioè, che il progetto di un processo “circolare” prevale sul contesto sociale, economico e ambientale del territorio.
I “punti oscuri” dell’economia circolare si possono riscontrare in questi casi:
– Quando i processi circolari supportano un comportamento insostenibile, come nella fast fashion o nel recupero di imballaggi ad alta tecnologia utilizzati per conservare per un mese in frigorifero gli alimenti del “banco freschi”.
– Ogni volta in cui vengono utilizzati per soddisfare una domanda non necessaria.
– Quando non si tiene conto degli impatti sul contesto ambientale locale, ad esempio l’introduzione di specie aliene invasive negli agroecosistemi locali per lo sviluppo di bioeconomia.
– Quando non si prendono in considerazione le esternalità ambientali e socio-economiche; per esempio, una bioraffineria che processa olio di palma proveniente da un altro continente, prodotto disboscando le foreste e sostituendole con ettari di piantagioni.
– Quando non vengono prodotti vantaggi economici per la popolazione locale (come nel caso di multinazionali basate all’estero che preferiscono impiegare persone dei propri paesi rispetto alle imprese locali).
– Quando non si investe nel capitale umano e sociale che deriva dalle tradizioni rurali, dall’artigianato, dal know how dei maker nel contesto locale (es: sarti, calzolai, falegnami, elettricisti e tutti gli artigiani “riparatori”).
– Quando non ci si concentra sulla lunghezza della catena di approvvigionamento, innescando vulnerabilità in termini di richiesta energetica ed emissioni (che aumentano con la distanza) e di resilienza socio-economica della comunità locale.
Come eliminare i punti ciechi dai processi circolari
Durante questa pandemia abbiamo, nostro malgrado, fatto i conti con una serie di inefficienze causate da anomalie di pianificazione che hanno riscritto la mappa delle necessità a cui, come collettività, dobbiamo far fronte per assorbire i colpi che arrivano da eventi imprevisti e devastanti come quello ancora in atto.
La pandemia di Covid-19 ha definitivamente dimostrato che dobbiamo accorciare le catene di approvvigionamento, specialmente quelle critiche per la sopravvivenza delle persone, puntando a migliorare la resilienza (trasformativa) delle comunità e dei territori verso eventi disastrosi, che contemplano non solo le pandemie, ma anche l’impatto dei cambiamenti climatici su scala globale e soprattutto locale.
Nella rivoluzione, che ci vede tutti protagonisti, verso modelli di business circolari, sempre più orientati alla crescita locale dei territori e al consolidamento della sostenibilità nelle strategie aziendali, non basta più solo progettare seguendo i canoni dell’Eco-design ma è necessario individuare i punti oscuri della progettazione.
Per ottenere una circolarità reale è necessario trovare il modo giusto per bilanciare eco-efficacia ed eco-efficienza, definendo indicatori qualitativi e non solo indicatori di performance.
Implementare la circolarità non solo nei prodotti o nei processi, ma anche nei modelli di business e nel contesto territoriale locale, rende il concetto di circolarità veramente sostenibile.
Ecco quindi le linee di indirizzo per chi si appresta a creare in modo circolare e sostenibile un prodotto o un servizio:
1. Ripensare totalmente i modelli economici attuali, puntando sulla circolarità delle imprese in relazione all’ambiente e alle comunità locali in cui esse sono inserite.
2. Sviluppare un modello circolare territoriale/urbano, in grado di valorizzare tutte le opportunità di business, che generino biodiversità e supportino la funzionalità dei servizi ecosistemici.
3. Accrescere il capitale naturale e il capitale aziendale, con la creazione di distretti produttivi circolari in grado di sviluppare concrete simbiosi industriali ben integrate nei territori.
4. Consolidare il capitale sociale e umano, attraverso la riscoperta di saperi tradizionali, motore dello sviluppo locale.